A volte sembra così semplice.
Tu hai un problema. Io vedo la soluzione. Te la dico e stop.
Problema 1:
sei sicuro che quella sia la soluzione buona per me?
Problema 2:
come mi prospetti questa soluzione? Per caso vuoi farmi passare da imbecille?
In realtà, quando un genitore o un amico ci prospettano la soluzione sono, dato l’affetto che provano per chi ha il problema, affettivamente ed emotivamente coinvolti. L’ultima cosa che vogliono è farci sentire imbecilli.
La questione è che:
- Se ti ho parlato del problema, non è detto che non abbia già pensato ad una soluzione, magari voglio solo un po’ di ascolto attivo, o anche solo lamentarmi un po’.
- Forse non ho la soluzione, ma non è assolutamente detto che la tua soluzione sia quella più adatta a me, anzi, a me solo a sentirla, viene l’orticaria.
- Se mentre ti racconto il problema, tu m’interrompi, invece di ascoltare, nel bel mezzo del mio racconto, offrendomi una soluzione, non mi stai ascoltando veramente. Inoltre mi poni la soluzione sotto forma di un ordine velato che in questo momento non capisco ma che poi, data la tua competenza nelle cose del mondo poi capirò perché “Adesso sono piccolo, sono sconvolto, sono troppo emotivo” e tutta una serie di tue proiezioni sul mio reale stato d’animo.
Ma allora come aiutare una persona che ci prospetta il problema?
Con l’ascolto attivo. E di questo parleremo in altro video ed articolo.
Voglio però soffermarmi sul fatto di quanto sia dannoso cercare di imporre la propria soluzione, a chi ci chiede semplice ascolto.
Proviamo a pensare a noi, quando succede a noi, di trovarci in difficoltà. Cos’è che vogliamo davvero dal nostro interlocutore. Anche da bambini, cosa volevamo?
Vogliamo e volevamo, attenzione, amore, ascolto. Vogliamo sentirci ascoltati, perché già quell’ascolto incondizionato è ricevere qualcosa di buono.
Attenzione, non sto dicendo che dovete farvi succhiare la vita da quella specie di parassiti energetici che sono i lamenta tori di professione, quelli che hanno: tutte le malattie, tutti gli amori infelici e tutte le sfighe del mondo. Assolutamente no.
Sto parlando di una persona cara che vi espone la sua difficoltà. E che sia bimbo o adulto fa poca differenza. E’ in una empasse e sta cercando, a suo modo, di elaborare e di trovare una soluzione.
Fermiamoci qui. Ascoltiamolo semplicemente.
A meno che non siamo genitori che hanno fatto percorsi di ascolto attivo non cerchiamo di far nulla. Ascoltiamo. Senza pensare alle soluzioni da proporgli. Spesso già il semplice ascolto, il ribadire il nostro affetto e la disponibilità, già fa qualcosa.
Facciamo un esempio pratico sul bambino.
Il bambino ha 4 anni e un fratellino di pochi mesi. La gelosia lo attanaglia. Chi è questo intruso? Prima mamma papà e i nonni erano tutti miei. Ora questo “coso” che non me lo fanno nemmeno toccare perché hanno paura che gli faccia male, sta sempre in mezzo. Io voglio giocare e i grandi non possono. Poi gli preparano la pappa e lui viene sempre prima di me. Vorrei che non ci fosse. Non si può cacciarlo via? Perché gli devo volere bene? Non è buono a niente, non ci posso giocare a duello, né a pallone, non parla e si sbrodola di bava. Poi guarda i grandi come lo guardano? Perché lo guardano così? Perché non guardano me, come guardano lui? Una volta guardavano solo me.
Potrei continuare per ore, il bambino di 4 anni ha questo chiodo fisso, un fratello più piccolo che invade la sua privacy di giorno e interrompe i suoi riposi, svegliandosi la notte. Un impiccio di cui non ci si può più liberare.
Difficilmente un bambino di 4 anni o anche meno, verbalizzerà il suo disagio. Vi picchierà, farà voci minacciose, si avvicinerà al piccolo con faccia feroce e gli griderà. Ma difficilmente verbalizzerà il suo disagio, il suo quasi odio verso il fratello. In realtà un misto di curiosità e repulsione, di amore e di lacerazione, perché adesso non è più lui il piccolo di casa.
Ora voi capite che se per caso un giorno gli scappasse detto:”Non lo voglio Giulio, lo odio, mandatelo via!” Ecco se capitasse una cosa di questo genere ed il genitore in assoluta buona fede gli dicesse:”No, non si dice questa cosa. Tu devi voler bene a tuo fratello!” Voi capite che questa rabbia verbalizzata è una finestra verso la soluzione. Il fatto che possa esprimerla a parole e voi cercate di reprimerla è un danno enorme.
Il bambino di 4 anni è al confine tra realtà e fantasia. Ma se avesse la bacchetta magica proverebbe di sicuro a far sparire il fratello. Non gli vuole male, solo non lo vuole lì, in mezzo tra i genitori e se stesso.
Se arriva alla verbalizzazione, in realtà, sta già cercando e trovando una soluzione.
E se noi soffochiamo la sua verbalizzazione, gli impediamo di elaborarla.
Quando pubblicherò il video sull’ascolto attivo, un po’ più avanti, si capirà come intervenire.
Piccolo memo: non sovrapponete le vostre soluzioni sulle altre persone, non proponete ciò che va bene per voi ad un’altra persona. Non offrite soluzioni a chi non ve le chiede.
Fate lo stesso con i vostri figli. Quando un figlio ha un problema e ve ne parla, vuole solo ascolto. E anche se vi chiedesse di dargli la soluzione, non dategliela assolutamente. Gli fareste un danno enorme, la convinzione di essere incapace a trovare soluzioni da se.
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Alla prossima