Nei giorni scorsi mi è caduto l’occhio su un programma televisivo per piccini. La cosa che mi ha impressionato è che invitasse i bambini a riempire delle campiture di colore, premendo dei tasti.
La cosa peggiore che si può fare ad un bambino, per impedirgli di crescere, è evitargli l’uso del tatto e del gesto fisico legato ad un risultato visivo. Oggi si privilegia molto il senso visivo, a sfavore di altri sensi, ma questo ha delle conseguenze notevoli nella vita dei nostri figli. Per questo motivo oggi proseguo la pubblicazione della mia tesi di laurea attinente la sociologia delle ARTI che, guarda caso, tocca l’argomento tattile.
Bisogna osservare più di un’attinenza tra l’aspetto uditivo magico delle civiltà orali, così definito da McLuhan, e la modalità con cui si procede nel lavori svolti allo Studio.
Nel suo Galassia Gutemberg, McLuhan (1976, p. 50) sostiene che:
Se una tecnologia viene introdotta in una cultura sia dall’interno sia dall’esterno, e se provoca una nuova accentuazione o supremazia di uno o dell’altro dei nostri sensi, allora il rapporto tra tutti i sensi ne risulta alterato. Noi non sentiamo più nello stesso modo, né i nostri occhi e orecchi e gli altri sensi rimangono gli stessi. L’intreccio dei sensi è costante eccetto in condizioni di anestesia. Ma ognuno dei sensi, quando venga acutizzato ad un alto livello di intensità può fungere da anestetico nei confronti degli altri sensi. (…) Il risultato è (…) una sorta di perdita di identità.
L’aspetto più evidente dei mezzi di comunicazione della civiltà occidentale, è quello di utilizzare una sempre maggiormente specializzata dimensione visiva. Prendendo in considerazione il ragionamento di McLuhan non possiamo non notare come tale specializzazione porti ad un’anestetizzazione della sensorialità tattile e uditiva. Recenti studi sull’ascolto della musica fra i giovani supportano la tesi secondo cui la tipologia di musica ascoltata e la qualità dell’ascolto è sempre più superficiale e disattenta, con disturbi delle capacità di concentrazione degli stessi soggetti indagati.
Non è questa la sede per analizzare tutti i possibili risvolti socio-culturali di una società i cui esponenti soffrono di questa perdita di capacità di concentrazione e di identità, ma recuperare tali sensi allo Studio era una dinamica consolidata che dava buoni frutti, sia per la tipologia di rapporto che si creava tra i partecipanti, sia per la felice riscoperta di questi sensi.
Durante le attività manuali è sempre stato dato il massimo risalto all’aspetto tattile. Le tecniche di manipolazione della materia, qualunque essa fosse, puntavano a sviluppare le capacità del gruppo e del singolo all’interno del gruppo, di riconoscere con il tatto le materie manipolate. Nella lavorazione della cartapesta, ad esempio, bisognava riconoscere al tatto la carta che era stata bagnata con acqua, che doveva aderire al calco in gesso, da quella ricoperta di colla di acqua e farina, completamente trasparente e quindi assolutamente irriconoscibile dal punto di vista visivo. I neofiti del gruppo non erano in grado di farlo, mentre i più esperti potevano farlo realmente “ad occhi chiusi”. Il tatto permetteva di riconoscere la porosità della carta imbevuta d’acqua dalla viscosità della carta imbevuta di colla. Un tipo di sapienza che permette il mantenimento della sfera naturale umana, portata al contatto diretto con gli elementi della natura, e all’unità sensoriale citata da McLuhan che ne qualifica l’equilibrio, lo stato “in presenza” non anestetizzato.
Ora, l’aspetto uditivo a cui fa riferimento McLuhan, oltre che nell’ascolto di musica classica occasionale durante le attività lavorative dello Studio, avveniva soprattutto nella fase intermedia alle attività laboratoriali, la cosiddetta “merenda”. Oltre ad essere un momento di convivialità, della presentazione dei nuovi al gruppo, era anche quella in cui si riproponeva una sorta di “convocazione degli abitanti del villaggio” in cui il capovillaggio, il maestro, affabulava il gruppo con i racconti dei suoi viaggi, delle sue avventure, delle progettualità future, ma sempre nei termini della affabulazione. Non quindi con aride cifre, pianificazioni del lavoro, suddivisioni dei compiti, che poi ci sarebbero anche state, ma nei termini della favola, dell’avventura di un gruppo di eroi che avrebbero portato a termine un’epica impresa. Qui, l’aspetto emotivo empatico, emozionale e ludico, creavano una sinergia fondamentale per cementare il gruppo e proseguire nelle attività che spesso avvenivano in condizioni ambientali disagevoli. In questo ci ricorda Mejerch’old ( Palumbo, 2005, p. 41 ) il quale per motivare i suoi attori adotta questa tecnica: “( …) La cosa importante è che, fin dal primo (…) incontro, siano già in uno stato di agitazione. Avete capito che nell’arte il maggiore e più importante stimolo è la commozione?”
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Molti anni dopo che lo Studio aveva chiuso le porte, importanti studi sociologici e anche molti formatori, hanno dimostrato che l’apprendimento collegato all’emozione positiva, oltre a generare benessere, crea, a livello neuronale, un ancoraggio, rendendo l’apprendimento non solo più efficace, ma anche solido, dato che non avviene solo a livello razionale, ma anche ad un livello subconscio.
Alla prossima