Viaggiare con le mani: le maschere antropologiche di Gianpistone e dello Studio

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Quel che segue è la descrizione sintetica del progetto di realizzazione delle maschere antropologiche, ideato e realizzato dal Maestro Gianpistone con il gruppo dello Studio Arte Equipe 66, di cui ho fatto parte. Pubblico questa descrizione per dare l’idea di quale fucina lo Studio fosse in quegli anni e, per lo stesso motivo per cui ho scritto la tesi oltre 10 anni fa, auspico che tale creatività, necessaria all’espressione dell’essere umano, sia ricostruita e riportata in vita. Share on X Per chi non avesse letto i paragrafi già pubblicate, immaginate uno spazio di 380 mq  soppalcato, con oggetti di viaggio, musica classica diffusa in tutti gli ambienti, profumi  ed oggetti etnici, dipinti del Maestro  e molte persone intente al lavoro.

Il progetto delle maschere antropologiche

Le fasi del lavoro:

  1. scelta della maschera da riprodurre
  2. forma in creta
  3.  cassaforma per la colata in gesso
  4. colata solidificazione della stessa e svuotamento del calco
  5. cartapesta
  6. asciugatura ed estrazione
  7. restauro e scartavetra tura
  8. imbiancatura e controllo qualità del lavoro
  9. trattamento materico e decorazione
  10. finitivo
  11. stoccaggio e/o esposizione del lavoro finito

Il  progetto ha coinvolto oltre un centinaio di persone per un periodo di circa cinque anni.

Il coinvolgimento progettuale era principalmente nel fare, anche se l’interesse delle persone non consisteva nel produrre, ma nel perseguire diversi scopi: socializzare, conoscere altre culture, riappropriarsi di momenti creativi, dell’uso delle mani in una funzionalità non correlata ad una produzione lavorativa Share on Ximpersonale, sentirsi parte di un gruppo, sentirsi inseriti socialmente, sentirsi utili ad una progettualità comune in cui ognuno può riconoscersi come realizzatore parziale non unico ma determinante, dei manufatti. Gianpistone guida con mano ferrea il lavoro spingendo categoricamente su un tasto: il lavoro è circolare, nessuno deve poter dire:”Questo l’ho fatto io.” Ma tutti devono poter dire:”A questo ho lavorato anche io.” Share on X Questa spersonalizzazione dell’opera come realizzata da una sola persona, fa si che gli anelli più deboli della produzione, diversamente abili, bambini, i neofiti, possano non sentirsi esclusi dal processo realizzativo, bensì integrati completamente nell’evoluzione del lavoro. Chiunque rifiuta questo approccio collettivo si autoelimina dal gruppo.  Nel periodo analizzato lo Studio occupa diversi ambienti:  la falegnameria, dove si producono le cassaforme di legno per le colate di gesso da effettuare sopra le forme in creta, una volta terminata la riproduzione della maschera scelta sui libri acquistati dal maestro; la sala creta, un piccolo ambiente dove si lavora in tre o quattro persone contemporaneamente è il luogo dove si realizzano le sculture, le riproduzioni delle maschere scelte ( a volte dal maestro, a volte dagli stessi esecutori); la sala cartapesta, attigua, un’enorme salone dove lavorano contemporaneamente anche quaranta/cinquanta persone.

Si lavora da un minimo di due, fino a otto persone su ogni pezzo, a seconda della grandezza del calco. Vi sono i totem che sono composti da più pezzi e lunghi anche fino a due/tre metri di altezza. Una parte della sala è occupata da chi scartavetra i pezzi asciutti e chi li imbianca; la cucina è dotata di enormi pentoloni che servono per preparare la colla di acqua e farina, utilizzata per la cartapesta, ma anche delle attrezzature per preparare la merenda e i pasti per il gruppo; la sala decorazione è il luogo dove arrivano le maschere che devono essere decorate.

Nella riproduzione si cerca di rendere il materiale originale con quanta più fedeltà è possibile: si usa sabbia se l’originale è in pietra, aniline, se l’originale è in legno e così via; Il salone dove si fa merenda e dove si cena è un luogo diverso, molto grande, dove il maestro dipinge: dotato di molti divani, sedie, tavoli pieghevoli,  è il luogo dell’incontro, della presentazione dei nuovi arrivati. E’ il luogo dove si condivide un momento di riposo e del cibo, ma anche dove il maestro dà indicazioni sul lavoro, su come procede, sui progetti futuri, la programmazione, gli eventi che si promuoveranno, le mostre e i laboratori. Tutto avviene in un’atmosfera rilassata e scherzosa. Spesso il maestro racconta dei suoi viaggi e chi ascolta non sa dove finisca la realtà e dove cominci la fiaba. Il maestro infatti è un grande affabulatore. Questa dote fa si che, anche i più pigri e i meno interessati a sviluppare la propria manualità, si sentano incoraggiati a dare il proprio apporto al lavoro collettivo. L’impulso propulsivo dato dal maestro è importante, ma la maggior parte delle persone che compongono il gruppo ha una forte componente motivazionale propria:

i diversamente abili che frequentano lo studio sono felici di appartenete alla comunità, sentirsi utili, rispettati come individui; Share on X

i bambini e i giovanissimi vivono un’esperienza creativa accanto ai propri familiari e si sentono coinvolti nel lavoro, pur se non sempre consapevoli della particolarità e unicità dell’esperienza che stanno facendo;

i giovani motivati culturalmente, trovano tra i coetanei e le persone più mature, degli interlocutori attivi, con cui condividere l’impegno sociale, la crescita culturale, le fatiche e le soddisfazioni sia all’interno dello studio, sia in occasione delle “uscite” all’esterno;

gli adulti sentono riconosciuto il ruolo di esperti, quando abbiano competenze utili al gruppo ( artigiani, meccanici, ecc), oppure sono semplicemente felici di vivere accanto ad altre persone, esperienze creative tese a produrre dei manufatti particolari, di cui percepiscono l’importanza, sia progettualmente, che nell’atto stesso del fare.

gli anziani non si sentono esclusi dal gruppo ma accolti con calore, sia quando lavorano fianco a fianco con i più giovani, sia quando si vedono trattati con rispetto, ma da pari.

In questi gruppi appena elencati non appare una differenziazione sociale e culturale, che pure è da notare. Il gruppo è frequentato da:

1. persone che hanno frequentato solo le classi elementari ( e magari neppure completato il ciclo perché erano gli anni della seconda guerra mondiale);

2.  studenti delle medie inferiori e superiori;

3.  laureandi e laureati;

4. disoccupati;

5. ex-tossicodipendenti;

6.  docenti, insegnanti;

7.  artigiani;

8.  meccanici;

9.  impiegati;

Le classi sociali sono presenti tutte, dal diversamente abile che è stato assunto da un ente pubblico per il suo handicap e non può certo dirsi ricco, alla famiglia media, a quella più che benestante. Vi sono poi, diversi giovani disoccupati o con occupazioni precarie, con ambizioni artistiche. Il grembiule di stoffa bianca, o quello di plastica rossa, indossato da chi fa cartapesta per non bagnarsi i vestiti, omologa tutti. Oltretutto orpelli ingombranti come: anelli, collane, orologi costosi, sono sconsigliati per i lavori manuali, chi li ha, se li toglie per non rovinarli. Chi se li dimentica sul lavandino è redarguito dal maestro, che invita i possessori di gioielli a lasciarli a casa. Lo sfoggio di elementi di lusso come pellicce o abiti costosi non è ben visto, almeno dai più giovani e politicamente colorati a sinistra, al contrario, chi indossa abiti pratici per il lavoro e visto come più disponibile e pronto a lavorare.

Gli ospiti che di volta in volta si avvicendano negli anni allo Studio, sentono l’energia positiva del gruppo, sia che partecipino al lavoro decidendo di sporcarsi le mani, sia nel puro momento conviviale della merenda o della cena. I cosiddetti curiosi non sono ammessi, nessuno può girellare tra i tavoli mentre si lavora, ma indossato un grembiule e tirate su le maniche deve partecipare al lavoro. Non è una regola automatica, è Gianpistone che la ripete a chi ci viene a trovare. Non siamo uno zoo, siamo un gruppo che lavora, o sei dentro o sei fuori. Lo studio non è dotato di riscaldamento, è una cantina dai soffitti di sette/otto metri, d’inverno si sta a lavorare alla cartapesta, fondamentalmente carta di giornale bagnata e colla, per due o tre ore, eppure sarà la colla bollente, appena cotta, o l’energia prodotta da chi lavora, a riscaldare chi lavora. Si scherza sul freddo e ci si fa coraggio vicendevolmente, aiutando chi è rimasto indietro e soccorrendo il  neofita in difficoltà. A volte le mani sono cotte dalla macerazione dell’acqua, e dopo il lavoro l’acqua per lavarsi è gelida, così, mamme soccorrevoli mettono l’acqua sul fuoco per scaldarsi un poco, dopo essersi puliti le mani sotto l’acqua ghiacciata. Anche stare stretti, l’uno accanto all’altro, durante il lavoro ai calchi è utile per sentire meno freddo, spalla a spalla ci si scalda, fisicamente e con un sorriso. L’aspetto umano, emotivo, empatico, cammina insieme all’incontro con la cultura del diverso Share on X, intesa sia come diversamente abile, sia come culture di minoranze etniche, ma anche come culture soffocate sia dall’occupazione territoriale, politica dei paesi industrializzati e capitalisti, sia come non riconosciuta dai poli museali che per  pochi reperti non bene contestualizzati. L’idea progettuale del maestro è quella di realizzare riproduzioni di maschere provenienti da tutto il mondo e farne un museo viaggiante per far conoscere e riconoscere queste culture extraeuropee ( o europee arcaiche, pre-elleniche) anche al di fuori dei poli museali classici e un po’ imbalsamati di quegli anni ( stiamo parlando della fine degli anni settanta). Come nota la Piccirilli nella sua tesi (1998, p. 4-5):

Le maschere etniche tribali sono in genere realizzate con i materiali più vari: corteccia d’albero, creta, piante, crani umani, decorate con conchiglie, piume d’uccello, intarsi in madreperla, ed altri elementi, tutti reperibili in natura. Quelle di cui mi sto occupando, al contrario, non sono riproduzioni fedeli agli originali poiché:  unico materiale usato è la cartapesta;  presentano misure e forme plastiche standardizzate;

non tutti i modelli raffigurati originariamente erano maschere;(…)Tuttavia esse sono di notevole interesse sia dal punto di vista estetico… sia da un punto di vista antropologico in quanto emerge che la fantasia e la creatività, presenti in ciascun uomo in ogni parte del mondo, sono insite nella natura umana e quindi hanno significato e valore universale.

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