intervista al Maestro Gianpistone dalla tesi su SAE66

Come vedrete dall’intervista, il Maestro Gianpistone è un fuoco di fila di ricordi, racconti, episodi di vita vissuta, un fiume inarrestabile di passioni, interessi, cultura, impegno sociale, ricerca. Ho lasciato l’intervista con i riferimenti agli altri paragrafi della tesi, così, se ne avete voglia potete andare a cercare tra gli altri articoli. Buona lettura.natura-mirabilis-opera-dipinta-gianpistone-1986-1990-790481b6-b237-42b0-8da5-19bafa5240ab

Capitolo III
Le interviste
III. 1
Intervista al maestro Gianpistone
C’è una cosa molto importante da dire… che un allievo di Mcluhan, venne allo Studio, perché voleva cercare di conoscere il nostro modo di procedere… non ricordo il suo nome…era interessato a fare una ricerca sullo Studio…non è più tornato in America, è andato a vivere in Israele…ha fondato una comunità…forse un kolkoz…

Maestro, quali sono stati i tuoi maestri?

Beh, alcuni dei miei maestri sono stati i libri, camminare con gli autori, crescere con gli autori…soprattutto i grandi…mentre i libri che non ho amato sono quelli che… mi hanno obbligato a leggere, perché… quando io andavo a scuola non c’era questa democrazia…non c’era nulla, solo il titolare di cattedra… quindi o facevi quello che diceva lui o eri bocciato…quindi da Dostojeskj, Puskin Gogol, Gorkij, Tolstoj… poi potremmo parlare dei Francesi, dei Tedeschi, degli Americani… degli Spagnoli… e su tutti, Don Chisciotte… perché le mie idee erano come quelle del protagonista del Cervantes…lottare contro i mulini a vento…

così mi hanno pestato da tutte le parti, a sinistra e a destra… per questo per me Don Chisciotte è il più grande… mettiamo via i libri…perché se devo citare tutta la letteratura… diventa monotono.

Poi … le persone che ho incontrato per strada… alcuni sono stati grandi, scrittori…alcune erano piccole persone (…) quando sono andato a Bordighera… ho conosciuto Giuseppe Berto, che poi siamo diventati grandi amici…(…) lui ha vinto il premio delle cinque bettole e io ho vinto il premio delle cinque bettole… perché… quando ero al paese di Dolceacqua…ho dipinto una superficie enorme…un telaio che non finiva mai… tutta la notte… e per tutta la notte il paese è stato lì con me, ha passato la notte in bianco per farmi compagnia e, devo dire che, ciascuno di loro, ha fatto si che io abbia messo dei colori… dei suoni… dei sapori, degli odori… particolari, in quella tela… perché sta di fatto che, una settimana dopo quella tela, vincesse il premio delle cinque bettole…Berto ed io eravamo i due protagonisti della manifestazione… un altro personaggio che mi ha insegnato molto è stato Ezra Pound… un incontro molto toccante e… divertente… se poi torni…

Ma la tesi la devo fare adesso! ( ridono)

Va bene…un altro incontro importante è stato con Calvino… che mi ha portato a rischiare la pelle… perché io andai, dopo una battaglia tra fascisti e partigiani, che ci fu in un paesetto… a portare l’acqua ad un ragazzo. Nell’attacco c’era un giovane in prima fila, bello alto con l’impermeabile, che era Italo Calvino… io ero il figlio della cuoca fascista… perché se non era fascista non le facevano fare la cuoca…non gli potevo dire che in casa nostra vivevano i partigiani perché avevamo scritto:”Achtung! Zona infetta” perché io avevo avuto la difterite… e quindi lì dormivano tranquilli…(…) poi i partigiani non so come furono sconfitti, e , ( se ne andarono e al loro posto di al piano di sopra si installarono due tedeschi)…mentre i partigiani si ritiravano io andai di sopra, dove c’erano i tedeschi e gli dissi: ” Di sotto ci sono i miei fratelli, che sono piccoli, che dormono, se voi li svegliate io non so che faccio… se invece state buoni io cercherò di ricambiarvi la cortesia.”

… per cui i partigiani sono passati, poi hanno perso la battaglia ma chi era in testa alla colonna…e in testa alla colonna c’era Calvino, si sono salvati perché io avevo impedito ai due tedeschi di sparare… ma questo Calvino non l’ha mai saputo… ha scritto un libro su quell’episodio La strada per San Giovanni, non ha saputo che gli ho salvato la vita…quando sono andato a portar l’acqua al partigiano, che l’avevano legato e pestato a morte…sono arrivati i due tedeschi e m’hanno dato un colpo di moschetto alla schiena… e io sono stato molto male…(…) quel povero ragazzo è stato condannato a morte e ha chiesto, come ultima volontà: ”Voglio essere accompagnato da Giovannino” (Gianpistone) , così la mattina alle quattro sono venuti i fascisti a prendermi, mia madre mi ha chiesto: ”Che hai fatto?” , ma io non gli avevo detto niente, lei non ha mai saputo niente… così… ho accompagnato questo ragazzo… camminavamo insieme, parlavamo ed è morto sereno, tranquillo…solo che il comandante del plotone non mi ha mica avvertito che stava per sparare, così lui non s’e n’è accorto, perchè stavamo parlando… ma io mi sono sentito tutto il sangue addosso…

ma il più grande dolore è stato non aver mai detto a Calvino: ” Guarda che le cose sono andate così…”

Un altro grande incontro è stato con Cesare Zavattini…che mi ha insegnato in un sacco di cose… lui era molto goloso, la moglie non voleva che gli portassi dolci così mi chiedeva di portargli il gelato dei Tre Scalini ( famosa gelateria di piazza Navona a Roma) e aggiungeva:”Ma non mettertelo nella tasca dell’impermeabile, che lei se ne accorge!”… così io lo mettevo nella tasca dei pantaloni che se la moglie non si sbrigava con i convenevoli… mi si gelava tutto…( ride)…

(…) Qual è stato il tuo primo approccio con la manualità?

Io lavoravo per dare i soldi alla famiglia… Mi ricordo che ogni tre libri che rilegavo, me ne regalavano uno come onorario, io li dovevo cucire, li dovevo incollare e se li rilegavo bene mi pagavano di più… allora ho capito che usar bene le mani serve per … campare, perché mamma mi diceva: ” I soldi che tu prendi – io facevo il trasportatore, il camallo, andavo a consegnare le merci con il triciclo di un negoziante… e mamma mi disse – però guarda che io non posso darti i soldi, se tu vuoi continuare ad andare a scuola”… così ho dovuto trovarmi un altro lavoro, che era appunto quello di cucire i libri e incollarli… solo che a me cucire i libri , senza fare nulla, mi sembrava di sprecare il tempo, così avevo trovato un sistema per cui, ad un palmo dagli occhi avevo un piano, su cui mettevo i libri da leggere, e sotto il libro da cucire… così c’erano questi due piani di apprendistato… sotto la manualità che si acquisiva e da una parte continuavo a leggere… con Teresa Raquin, mi sono bucato le dita un sacco di volte… poi ho capito che gli aghi per rilegare non devono essere tanto appuntiti…(…)

Che ci dici della tua grande passione del viaggiare?

I viaggi… sono anche loro stati dei maestri… da piccolo ricordo che… mi bastava rovesciare una sedia…bastava chiudessi le persiane e chiamassi i fratelli per dire: ” Questa è una nave che va verso Oriente!” e inventavo… inventavo quello che mi veniva… “Attenti agli schizzi dell’acqua!”… e la nave viaggiava…e ci spostavamo nella stanza, non potevamo star fermi… e questi sono stati i miei primi viaggi… perché, come diceva Calvino nelle Città Invisibili… prima sono dentro di noi e dopo le puoi leggere, ma se non ce l’hai dentro…non le tiri fuori… quindi basta che tu abbia qualcuno che ti suggerisca… le strade i percorsi, le mete i traguardi…e poi ci sono i miei viaggi veri… e siccome io avevo questa cosa che non potevo tornare indietro, l’ultimo giorno di viaggio facevo il giro di un palazzo, così non tornavo indietro…era un altro viaggio…

i maestri sono stati… centomila artigiani, persone sole, persone che ti chiedevano aiuto, che ti offrivano… aiuto, senza che tu glielo chiedessi… per esempio una volta, in macchina, in viaggio verso Bassora, in Iraq…ad un certo punto scoppiò una gomma…cambiai la gomma…si scoppiò la seconda…è passato un camion, ha visto che stavo pregando…perché uno che ha fede, vede un altro che ha fede.. prende le ruote e dice: ”Fra sei ore sono qui con le ruote cambiate” e dopo sei ore era lì…perché dodici ore nel deserto senza bere significa la morte.. e… gli sarò sempre grato per avermi salvato la vita e come lui… tanta altra gente sconosciuta, mi ha insegnato tante cose… e questi sono i maestri più importanti che ho avuto.

Cosa puoi dirci del tuo lavoro con le persone con disturbi mentali?

Noi crediamo che quando andiamo a fare un laboratorio con i malati di mente, tu vai lì per insegnare… niente di più sbagliato… perché se tu vai lì, con l’intento di giocare a chi è più folle tra loro e te… se tu vai e dici: ” Oggi vi ho portato il caffè che beveva Michelangelo, quando disegnava i cartoni della Cappella Sistina!”… (…) sembra impossibile, ma è possibile che tu abbia fatto una ricerca particolare negli incartamenti… e così, andando in mezzo ai folli, fai contenta la caposala…che ti dice: ” Maestro, qua bevono troppo caffè!”… lo sapevano pure ( i pazienti) che era orzo…ma era talmente bello per loro, credere che la mia follìa fosse all’altezza della loro, che, per giorni, settimane, mesi e anni, hanno bevuto il caffè d’orzo…per cui noi non possiamo credere che noi, che dovremmo essere saggi ed apprendisti stregoni nel senso di insegnare, possiamo fare a meno di apprendere quello che loro… hanno appreso, perché una persona che è folle, è una persona che è intelligente!

Quello a cui non puoi insegnare nulla è il burocrate stupido, quello non può guarire!

I folli sono una fonte d’ispirazione?

Una enorme fonte di ispirazione! Anche perché quando tu ti metti davanti ad una tela bianca, o davanti ad una persona che è così disperata che non sai come prenderla per rasserenarla… tu devi trovare una follia che permetta di sganciarsi da quella fissazione che è la follia che quella persona ha, l’unica maniera di scuoterla è trovare una follia che sia più profonda della sua… io ricordo che a una certa ora della mattina mi facevano mettere in un posto della stanza… poi una mattina, dopo molti mesi ho capito… i miei pazienti che erano 32 delirii gravi, di cui tre arrivavano la mattina con i carabinieri che gli toglievano le manette perché avevano preso sette anni per rapina a mano armata…e dicevano che erano pericolosi e mi dicevano ( i carabinieri) : ” Maestro sono tutti suoi!” E io me li prendevo sottobraccio… e venivamo al laboratorio… allora, perché mi facevano mettere da una parte? Perché entravano e uscivano bare dalla morgue che stava in fondo al giardino… e i pazienti non volevano che le vedessi e che mi rattristassi…volevano che io stessi in un punto dove non le vedevo… dobbiamo pensare che… dietro la tragedie c’è sempre qualcosa… ma non è quello che si vede, ma che sta sotto… e io dai matti, ho imparato questa cosa…

Quando è che hai cominciato a “insegnare” ad essere creativi?

Dopo che ho cominciato a insegnare, nel 1957, perché le maestre non volevano darmi una classe…io insegnavo dalla prima alla quinta… Che scuola era? …era la scuola Gian Giacomo Badini…all’Aventino…la Preside, che mi adorava, mi disse: ” Gianpistone, faccia quel che vuole!”, ma questa cosa non andava tanto giù alle maestre, che si erano coalizzate contro di me, così io la mattina mi affacciavo nelle classi e dicevo: ” Chi vuol venire con me a disegnare? ” Ma i bambini restavano fermi, perché si vede che le maestre gli avevano detto qualcosa… allora io dissi:” Mi dia i “cattivi” ” ! ” (ride) e allora, classe per classe, tutte mi dettero i “cattivi” e sono stati miei allievi per tutto l’anno e allora io ho capito, nel 1957, che i bambini cattivi hanno dei tormenti segreti che non sempre, le maestre riuscivano a capire… avevano delle cose importanti da fare… che però non facevano parte del programma…

dobbiamo pensare che… creatività e programma, sono due cose, che sono in antitesi…allora la creatività che cos’è…io ancora non l’ho capito, però ho capito che non può essere qualcosa di preordinato, di prefabbricato, di precostituito… è qualcosa che deve venir fuori dall’anima…e tutti ne siamo dotati… come siamo dotati di un pizzico di… Michelangelo, dico sempre, un pizzico di Caravaggio, un pizzico di Mozart Share on X… pizzichi piccoli, poi dipende… quanto noi sappiamo pazienti nel cercare di dilatarlo…ma chiunque è dotato di capacità creative, se viene spinto e stimolato a tirarle fuori… ma non è che c’è una ricetta, la ricetta è… essere pazienti, guardare con rispetto le persone… Rispetto al tema della creatività e al fatto che il metodo sia… il creare una specie di tracciato… Ma io potrei fare un esempio, ci sono delle persone che con una bacchetta di legno seguono una traccia e trovano l’acqua… la creatività è qualcosa di molto simile… però la bacchetta è la tua capacità percettiva, per stimolare il tuo interlocutore alla sua creatività… perché non c’è… la mia creatività che va bene per lui… bisogna tirar fuori da lui… la sua… creatività…

Certo… Cosa ci dici del progetto sulle maschere antropologiche?

Un giorno leggo un libro…dell’Astrolabio, un libro sulle maschere africane dove si legge che gli Africani… di quella regione… si sono ispirati al cubismo ( tutti i presenti ridono)  Ah… benissimo! ( detto con ironia) Così mi sono detto… chi ha scritto questo libro presenta una leggera ignoranza…(…) con l’Alitalia avevo girato parecchio l’Africa, spesato da loro, perché portavo in giro il ciclo di dipinti delle Cattedrali, beh, avere un pizzico di celebrità aiuta… lì m’è capitato di vedere delle maschere… così anni dopo decisi di studiare le maschere… così con la gente dello Studio … bisognava fargli far qualcosa…mi chiesi: che cosa posso fargli fare che costi poco? Perché c’erano tante persone, cinquanta, sessanta, ottanta…a volte anche di più il sabato… così bisognava lavorare qualcosa che avesse dei costi materiali molto bassi e la manualità molto alta…perché più è bassa la… materia prima e più deve essere abile chi la trasforma… perché fare qualcosa di bello con l’oro è molto facile, ma fare qualcosa di prezioso con del materiale povero…come la creta… poi gli dai le forme, li modelli, poi si fanno dei calchi… poi quando devi riprodurre delle maschere che non vedi la profondità, perché le vedi sul libro, per cui si faceva ad occhio… e così abbiamo fatto le maschere, abbiamo fatto anche delle mostre… e devo dire che, questa sorta di inganno… perché … non è che mi ero sognato di fare…una struttura museografica sulle maschere… pensavo in questa maniera di coinvolgere tanta gente…di farli giocare… all’ora di merenda ci si lavava le mani, dalla creta dal gesso, dalla colla, dai colori… invece son rimasto fregato pure io, perché passato il primo mese, il secondo, il primo anno… due anni, tre anni…è diventata una prigione… la gente era stufa di stare con le mani nella colla… perché io non gli ho detto che ne facevamo tre copie di ogni maschera… perché sennò mi avrebbero detto: ” No, basta una!” e io invece dicevo: ” No, è meglio farne tre! ” (ride insieme all’intervistatore) insomma passarono gli anni e la maschere era pronte e non sapevamo che farne…avevamo messo anche un acido che permetteva di proteggerle dai “vermetti”, invece poi i vermetti si sono… specializzati… Hanno studiato chimica… Si… si erano specializzati e mangiavano le maschere…

nelle maschere c’era tutto il mondo, tutto l’universo, se ne potrebbe parlare delle ore…

ma poi, guarda caso, c’era un popolo… che non era molto presente nelle maschere… ed era il popolo islamico…perché in Africa hanno riti per qualsiasi cosa, per il primo mestruo, riti iniziatici, riti per la semina,… tutti con maschere…

mentre aldilà delle maschere di cuoio per proteggersi dalle sabbie del deserto dello Yemen, l’Islam ne è privo…allora mi sono detto: bisogna fare qualche cosa… avevo fatto un’esperienza con il gruppo con i Fanes … un progetto della RAI che poi non era andato più in porto per una serie di circostanze… così mi sono detto, perché non ce la facciamo da noi ( intende una serie di fiabe con le marionette)… e così è nato il progetto de Le Mille e una Notte14… fine della storia. (…) Troppo mi costava questo sogno de Le Mille e una Notte …io ho rinunciato a fare il pittore e me l’hanno fatto pagare… io per occuparmi dello Studio ho perso la visibilità nel mondo dell’arte… perché nella quadriennale ( di Venezia) c’avevo tre pezzi, quattro anni dopo, siccome io lavoro con il mio centro Studio Arte Equipe… non vengo invitato e vedo dei pinchi pallini che vengono invitati… dopo otto anni, stessa cosa, Bonito Oliva prende in mano la quadriennale e non m’invita…io sono stato buttato fuori… questo è stato il dramma… questo significava perdere anche il mercato… infatti alcuni critici stanno sostenendo che la sinistra ha fatto la guerra a Gianpistone, senza nessuna motivazione se non che io avessi fatto… la rivoluzione con l’Entromondo e che nessuno volesse… prenderne atto…e questo lo dicono loro, lo dicono altri, adesso finalmente lo dicono loro… perché nel Settanta, l’Entromondo rispetto all’avanguardia e la transavanguardia…era molto più avanti… comunque adesso pare che si siano raggiunti dei… canoni della verità…

Che rapporti hai avuto con altre creatività?

Una delle cose divertenti…è che io da ragazzo avrei avuto secondo certi intenditori… delle capacità musicali… così riuscii a vincere un posto in un’Accademia musicale…c’erano centoventi pianoforti a coda al piano terra e tutti 13 Vedi paragrafo II. 2.2 il progetto dei Fanes 14 Vedi paragrafo II.2.3 il progetto de Le Mille e una notte quelli che erano bravi avevano un’autorizzazione permanente a suonare di mattina, di pomeriggio e anche di notte, questi pianoforti a coda… vedevo questa gente che suonava in maniera… divina… io invece mi dovevo imparare le note a memoria per cui ho capito subito che sarei diventato un pestanote, un cane pazzesco, infatti quando sento uno che suona male dico: “Questo suona come me!” ( ride) per cui.. la musica è andata male… poi dopo ho provato con altre creatività, però una creatività che m’era rimasta inespressa… che invece io sognavo a vent’anni… poi con gli anni, m’è presa una fregola così… e cominciai a scrivere… poesie… e ce n’è una che ho dedicato al mio grande maestro… Ernesto De Martino…che ebbi il piacere di conoscere… un giorno ho conosciuto un antropologo…Lanternari, si chiama…stava facendo un’antologia su De Martino e gli dissi:”Senti io ho un amico che ha scritto una poesia su De Martino…”… gliela lessi e lui disse: ”Bellissima!” , così l’ha pubblicata…secondo me non è male…( il maestro la fa leggere alla nipote più piccola, poi alla fine della lettura esibisce il foglio) questa fa parte delle cose… dei “tesori da ritrovare” ( intende postumi) …questa è stata scritta tutta di filato, senza una correzione. (ripone la poesia in una cartella su cui è scritto “tesori ritrovati”).

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